La missione si incarna nei limiti umani

Questa frase colma di significato, estrapolata dall’enciclica Evangelii Gaudium di Papa Francesco, è il nostro tema dell’anno pastorale e, di ritorno dal convegno di Re dove siamo stati insieme a numerose altre diocesi per apprendere le linee guida che ci sono state proposte, provo a trasmetterne il contenuto.

Missione è il nostro stare al mondo come inviati dal Padre, incarnazione è la scelta di Dio di condividere il destino dell’umanità, limiti umani è l’unico modo in cui noi possiamo vivere nella realtà senza effimere illusioni.

C’è una misura nelle cose e al di fuori semplicemente non esistiamo: il nostro corpo è determinato da diverse misure, tutto ciò che ci circonda, come oggetti, case, musica, tempo ecc, ha delle misure, cioè tutto è limitato.

Nello stesso tempo il credente crede in un Dio senza misura, infinito, onnipotente.

Conoscere la misura delle cose, partendo dalle nostre, significa avere il senso del limite, avere consapevolezza della realtà nostra e di quella che ci circonda, significa lavorare e ambire a mete reali, senza rischiare così di inseguire utopie che ci porterebbero inevitabilmente incontro a illusioni e quindi a delusioni. 

Il credente vive all’interno della misura della realtà, ma con il cuore e la fede può spaziare nell’infinito che non è il vuoto, ma l’amore di Dio, origine e meta di ogni vita.

Per cercare di comprendere bene la distinzione fra misura umana e amore illimitato di Dio facciamo ricorso alla lingua latina dove ci sono due definizioni di limite: limes e limen. Il primo ha il significato di confine, come barriera che non si può superare, per cui si è obbligati a starne all’interno senza possibilità di uscita, il secondo vuol dire soglia che invece è attraversabile, apertura che porta verso nuovi orizzonti. 

Il limite che ci costringe a stare dentro uno spazio, se percepito negativamente, è soffocante perché proviamo il desiderio di volere qualcos’altro, di essere altrove, di vivere una vita diversa e questo ci porta inevitabilmente a un senso di frustrazione e infelicità. Al contrario riuscire ad avere consapevolezza della nostra misura ci insegna a cogliere la ricchezza contenuta nel limite, impariamo a stare lì dove la vita ci pone. 

Pensare che l’uomo non ha limiti significa cadere nella superbia, è semplicemente una lotta inutile ed è in questo senso che si intende l’accettazione del limite, come consapevolezza della nostra realtà limitata che non solo non è rassegnazione, ma addirittura è crescita personale: per noi del CVS questo è un tema centrale. 

Il nostro fondatore ne ha fatto un cardine per la vita spirituale e per l’apostolato, il grande capovolgimento che il Beato Mons. Luigi Novarese ci propone è quello di considerare i nostri limiti, che lui chiama sofferenza, come una via apostolica, missionaria, mandando persone fragili verso altre persone fragili perché insieme, nella condivisione, la vita acquisti spessore, significato, bellezza.

Come si può fare?

Luigi Novarese parla di avere sempre lo sguardo fisso su nostro Signore, per comprendere la sua volontà e farla nostra. Quando la nostra vita ci sembra insopportabile, allora ci arrabbiamo con Dio e pensiamo che sia ingiusto, ma così ci troviamo soli, non riusciamo a percorrere la nostra via spirituale e diventiamo socialmente inutili, non abbiamo più niente da dare, non serviamo a nulla, diventiamo un peso per noi stessi e per gli altri. Perché dare qualcosa agli altri lo si può fare solo se dentro di sé si ha qualcosa, significa dare se stessi agli altri, cercando di imitare Cristo che non si è risparmiato e, con la Croce, ha dato tutto se stesso per noi e lo ha fatto in modo gratuito, solo per noi senza avere nulla in cambio. Di fronte al dolore non riusciamo a vedere subito la grande missione che ci è affidata, perché rinchiusi in un ospedale, inchiodati su una carrozzina, abbandonati dagli “amici”, perdiamo il senso della vita, ci perdiamo nella solitudine, mentre invece Dio, che non è responsabile della nostra sofferenza, ci offre la via d’uscita, trasforma proprio noi, deboli e fragili, come cardini della vita stessa. È la nostra povera umanità che si ribella ed è naturale, ma se si percorre la via dell’accettazione che va nella direzione opposta di quella della ribellione, noi acquistiamo la nostra vera identità, perché ci riconosciamo figli di Dio e uniti a Lui, ci adoperiamo per l’avvento del suo regno e allora, non solo non siamo più inutili o scarti, ma addirittura diventiamo fondamentali, forse non di fronte alla società che è superficiale ed effimera, sicuramente di fronte a Dio che è l’essenza, il centro.

Affidiamoci al Signore, per mezzo di Maria come ci ha insegnato il nostro fondatore, perché illumini la nostra mente e ci faccia comprendere che Lui sta chiamando proprio noi, non tiriamoci indietro e mettiamo in campo, ognuno per quello che sono le proprie possibilità, le nostre energie. 

Buon anno pastorale a tutti.

Luca Spagnoli

Presidente Cvs Brescia