Servo di Dio Fausto Gei

“Ogni malattia, anche la più breve, può trasformarsi in un candelabro d’oro che arde davanti a un invisibile altare. Ciò dipende dal modo con cui noi sappiamo accettare la sofferenza.”

Fausto Gei

Nasce il 24 marzo 1927 a Brescia.

Consegue la licenza liceale presso il Liceo Scientifico “Calini” e si iscrive alla facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pavia. Diventare medico è il suo sogno.
A vent’anni, quando sta portando a termine il secondo anno di Università, è aggredito da una misteriosa malattia. Ne fa lui stesso la diagnosi, confermata poi in Ospedale, e annuncia alla famiglia: “Ho la sclerosi a placche. E’ una malattia letale. Non so quanto durerò”.

Abbandonato dalla scienza medica, si aggrappò alla speranza del miracolo e andò a Lourdes. Però di ritorno dal primo pellegrinaggio a Lourdes, ancora sul treno, alla sorella Maria Laura che si meravigliava che non fosse guarito e gli chiese “ma non hai pregato la Madonna per la tua guarigione?” rispose: “ho visto chi soffriva più di me e ho pregato per loro. Ora prestami le tue braccia e le tue gambe…: le braccia per scrivere quanto ti detterò e le gambe per portare i miei scritti ai malati. Non sono riuscito ad aiutarli da medico, li devo aiutare da malato”.
La guarigione interiore di Fausto Gei fu totale. Mentre il corpo cedeva sotto i progressi del male e le sofferenze si assommavano di giorno in giorno alle sofferenze, la sua anima fu vista arricchirsi di luce, di serenità, di pace, soprattutto di amore verso i suoi, che presero ad assisterlo con tenerezza, verso i sofferenti, verso i lontani da Dio.

S’accese, così, nella sua anima la fiamma dell’apostolo. Messo nell’impossibilità di un’azione diretta, ricorse alla parola scritta e impreziosita dagli approfondimenti del suo progresso interiore e dallo sforzo nel dettarla e di riuscire ad esprimerla come gli si accendeva dentro. Non lesse libri sulla sofferenza. Suoi maestri furono le sue esperienze di paziente e il Crocifisso.

Un incontro maturato lentamente, ma assolutamente impegnativo e arricchente per l’esperienza di Fausto, avviene nel 1955 con il suo ingresso nell’orbita e nella spiritualità dei “Volontari della Sofferenza” fondati dal Beato Mons. Luigi Novarese. Proprio in lui, troveranno un prezioso animatore in terra bresciana.

Volle iscriversi nel 1960 tra i Silenziosi Operai della Croce, assimilarne lo spirito, farsene promotore attivo nella sua zona, volle cooperare ad aumentare il numero dei carpentieri per la costruzione del ponte che unisce la terra al cielo, e se li cercò tra i malati, perché dispongono di una moneta pregiata per farsi corredentori con Cristo.

Vive ancora poco più di vent’anni, che sono il suo Calvario valorizzato dalla sua fede e dalla testimonianza di ardente apostolo. Se ne vola al Cielo il 27 marzo 1968 all’età di 41 anni.


E’ in corso la Causa di Beatificazione.

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Alcuni pensieri:


Fausto scrive il 31-7-1956: “Credo di aver trovato il segreto della felicità. Nonostante la limitazione fisica che mi affligge, sono sempre sereno perché sono sempre contento di tutto. La mancanza di attività normale (normale per gli uomini) non mi priva della serenità. Non riesco a vedere nella mia malattia una iniqua punizione, ma solo un mezzo per raggiungere la méta e per attuare i disegni di Dio.


Fausto Gei ha talmente incarnato in sè la figura e lo spirito del “Volontario della Sofferenza” che ce ne regala una splendida definizione: “Due sono gli atteggiamenti che un’anima può avere quando è colpita dalla sofferenza: l’atteggiamento del forzato o quello del volontario. Forzati della sofferenza sono coloro che, nel dolore, imprecano, si ribellano, si disperano, senza per questo migliorare, anzi aggravano la propria situazione, che così, viene resa più dura e desolata, mentre nella ribellione e nel peccato si spegne ogni possibilità di merito e di conforto, col pericolo di tramutare la propria infelicità terrena in infelicità eterna. Volontari della sofferenza sono invece coloro che, senza fare inutili e vani confronti con chi sta “apparentemente” bene e senza perdersi in sterili rimpianti, accolgono la consegna di Gesù: “Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua”. Anime che hanno appreso dalla Fede la provvidenzialità del dolore, che credono all’amore di Dio e si fidano di Lui anche quando le mette alla prova, i Volontari della Sofferenza accettano di continuare in sè la Passione di Gesù, per dar gloria al Signore, per santificare se stessi e per estendere i frutti della Redenzione a tutti i fratelli, specialmente ai più bisognosi della misericordia divina. Nella loro sottomissione alla Volontà di Dio e nell’offerta del proprio dolore, essi provano gioie e conforti che nessuna felicità terrena può neppur lontanamente eguagliare”.


Ha lasciato scritto nel suo testamento spirituale: «Bisogna aiutare gli altri fratelli a trovare la strada che conduce a Dio. Ciò comporta l’offerta di sofferenze, di sacrifici, ma pensate che la parola d’ordine è: Amare, soffrire, offrire. La salvezza di un’anima non ha prezzo e la nostra maggiore consolazione dev’essere quella di averla riportata nell’ovile del Padre. Non vi spaventate di fronte a qualche insuccesso: nella vita non occorre vincere sempre, l’importante è lottare. Per fare tutto questo è necessario chiedere l’aiuto alla Madonna abbandonandosi nelle sue mani. Ricordatevi sempre la preghiera da Lei preferita, il rosario. E stata per me l’arma che mi ha dato i migliori risultati, specie nelle giornate in cui il demonio maggiormente m’insidiava».


Dopo una crisi fortissima di soffocamento durante la quale si pensava esalasse l’ultimo respiro, la sorella Maria Laura gli chiese: “Fausto, accetti ancora la Volontà di Dio?”. Rispose “Sempre e tutta!”.